Software open sugli iPhone? Polemica in Parlamento

Il ddl sulla neutralità di rete e piattaforme scatena polemiche perché, alla lettera, renderebbe illeciti i dispositivi chiusi, come quelli di Apple.
Software open sugli iPhone? Polemica in Parlamento
Il ddl sulla neutralità di rete e piattaforme scatena polemiche perché, alla lettera, renderebbe illeciti i dispositivi chiusi, come quelli di Apple.

Il disegno di legge sulla neutralità di rete e piattaforme, firmato da Stefano Quintarelli, è passato al Senato dopo l’approvazione alla Camera, ma dopo mesi di silenzio improvvisamente è scoppiata una polemica durissima all’interno della stessa maggioranza, corredata da un’accusa pesante – anche se per il momento ufficiosa – da parte di un’azienda come Apple: in questo modo si bloccano i dispositivi della mela morsicata. Ma è davvero possibile chiedere ad Apple una neutralità di sistema operativo? E che effetto avrebbe?

Per capire cosa sta succedendo, bisogna partire dalla proposta di Quintarelli, presentata poco meno di un anno fa. Un testo molto bello, in verità, che ha due binari: uno è la neutralità della rete, e fin lì c’è buona comprensione delle parti politiche; l’altro è la “non-discriminazione” delle piattaforme. Il punto in cui si è scatenato il caos. Più precisamente, all’articolo 4, frutto di un emendamento cinquestelle, che recita:

Gli utenti hanno il diritto di disinstallare software e di rimuovere contenuti che non siano di loro interesse dai propri dispositivi.

Al netto delle isterie che si possono leggere, per i fan, seguendo #Quintarelli-iPhone, e considerando anche quel passaggio successivo dove si parla di software “essenziali per l’operatività o per la sicurezza del dispositivo” (possibile appiglio, uscita di emergenza? forse), la norma così com’è passata alla Camera introduce un principio di neutralità delle piattaforme che non esiste in altri paesi. Per quale ragione? Persino troppo semplice: se si implica il diritto dell’utente di installare/disinstallare qualunque software (inclusi i sistemi operativi) su qualunque device, significa ipso facto che i melafonini Apple non potrebbero essere commercializzati, visto che sono il più fulgido esempio di walled garden, cioè di sistema operativo integrato nell’hardware completamente chiuso e brevettato a garanzia di standand di sicurezza e performance sui quali Cupertino investe miliardi. Visto che su computer e dispositivi mobili Apple non è possibile installare open software, se la legge passasse questi device diventerebbero illegali. Ed Apple avrebbe due opzioni: non venderli più, oppure creane di diversi per il solo mercato italiano. Con la possibilità di vedersi annullato tutto da Bruxelles in men che non si dica.

Quintatelli, comprensibilmente, difende l’impianto della legge, che ha cose buone, e il principio, vecchia scuola di Internet, della piena trasferibilità dei software come presupposto della libertà dell’utente. La questione è che non esistendo un mercato dominante di walled garden l’acquisto di un iPhone non è vincolante, quindi una norma che parte dal principio positivo della neutralità di software finisce per andare contro la libertà di impresa, ma soprattutto di business model, poiché, come diceva Diderot, “nulla è più diseguale dell’uguaglianza”: se si prevede che siano tutti uguali nell’installazione di software sempre trasferibile è molto probabile che si limiti la concorrenza, e senza concorrenza non c’è innovazione.

Come uscirne? La versione originaria, prima di questa ennesima sull’articolo 4, garantiva il diritto di “reperire contenuti e servizi dal fornitore di propria scelta alle condizioni, con le modalità e nei termini liberamente definiti da ciascun fornitore”, insomma era più puntuale nell’occuparsi dell’interoperabilità degli App store, era meno vaga, scritta meglio; si occupava della libertà di installazione di servizi e prodotti nell’ambito degli store. Cosa ben diversa dalla pretesa autonomia nel disinstallare l’intero sistema operativo di uno smartphone o di qualunque altro device con sistema proprietario.

Sergio Boccadutri, del PD, già responsabile innovazione, critica questo impianto e auspica venga riscritto al Senato:

Finché esiste una possibilità per il consumatore di scegliere alternative sarà il mercato a guidare i modelli di business in una ottica di concorrenza dell’innovazione e dei modelli di business. Non un norma imperativa che al limite potrebbe avere applicazione solo come rimedio ad una posizione dominante la cui valutazione va fatta caso per caso da autorità indipendenti.

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